La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia perché decise di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano dal 23 marzo 2016 al decesso del boss mafioso, avvenuto il 13 luglio dello stesso anno, all’età di 83 anni.
Secondo i giudici di Strasburgo il Ministero della Giustizia italiano ha violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.
Allo stesso tempo la Corte ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti, non ravvisando così alcuna violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
Il boss, infatti, si era lamentato delle cure mediche inadeguate in prigione e della continuazione dello speciale regime di detenzione, a dispetto delle sue condizioni di salute.
L’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale del capomafia, ha detto: “Quella che abbiamo combattuto è stata una lotta per l’affermazione di un principio e cioè che applicare il carcere duro a chi non è più socialmente pericoloso si riduce ad una persecuzione“.
Provenzano, ritenuto il capo di cosa nostra dal 1995 fino al suo arresto, avvenuto nel 2006, fu sottoposto al regime di 41bis e a quello di sorveglianza speciale previsto dal 14bis perché, dopo un anno di carcere a Terni, provò a comunicare più volte con l’esterno. Per questo motivo fu trasferito al carcere di Novara.