I medici e i paramedici impegnati nelle operazioni di pronto soccorso il Coronavirus lo vedono ogni giorno. In un momento del genere prevale l’unità nazionale, tra uomini: tutti uguali di fronte a un nemico comune. Ecco allora che ebrei e musulmani pregano insieme. E che una fotografia dà un po’ di conforto a chi non sa quale sia il proprio destino.
Avraham Mintz e Zoher Abu Jama hanno appena finito di rispondere a una chiamata: una donna di 41 anni con problemi respiratori a Be’er Sheva, a sud di Israele. Prima ancora, un uomo di 77 anni.

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I ritmi sono serratissimi e, come sempre, qualche secondo può fare la differenza. Approfittano di un momento di calma per ritrovare la forza necessaria per arrivare a fine turno. E allora accade qualcosa che non è facile vedere di questi tempi: ebrei e musulmani pregano insieme.
Mintz, un ebreo osservante, rivolto verso la città di Gerusalemme, con il suo scialle bianco e nero sulle spalle. Abu Jama, un musulmano (osservante anche lui), in ginocchio in direzione de La Mecca, sul suo tappeto marrone e bianco.
Per i due paramedici, che lavorano insieme due o tre volte alla settimana, la preghiera comune non è una novità. Lo è però per chi vede la loro immagine in un’istantanea. Una fotografia che ferma un momento, di quelli belli, di cui siamo tanto alla ricerca per dare un senso a qualcosa che difficilmente riusciamo a comprendere appieno.
E allora sono tanti i commenti sui social: «Sono orgoglioso di tutti i servizi di salvataggio, non importa da quale comunità o religione». E ancora: «Un combattimento! Una vittoria! Uniamoci».
«Il fatto che sia così semplice lo rende così potente. Credo che io e Zoher e la maggior parte del mondo comprendiamo che dobbiamo alzare la testa e pregare. È tutto ciò che resta»: ha commentato Mintz alla CNN.
Abu Jama, invece, ha lasciato il proprio lavoro per dare una mano, visto il momento delicato che si è chiamati ad affrontare. «Crediamo nelle stesse cose e abbiamo qualcosa in comune. È una persona che dà e riceve onore e questa è la cosa importante»: ha detto.
Un momento, il loro, che è durato solo pochi minuti. Poi di nuovo su quell’ambulanza, pronti a soccorrere chi ha bisogno. Pochi minuti che diventeranno il simbolo di questa pandemia. Non solo in Israele, ma in tutto il mondo.
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