Carcere o multa fino a 1.032 euro. È questo il rischio che corre un padre, separato o divorziato, che non paga l’assegno di mantenimento.
Infatti, da oggi è entrato in vigore l’art. 570 bis del codice penale che prevede quelle pene se i genitori si sottraggono “agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge“.
Da notare che la norma non fa riferimento ai conviventi.
La nuova regola si trova nel decreto legislativo 21 del 2018 sulla riforma del riordinamento penitenziario del governo Gentiloni.
“Il reato può essere compiuto da un coniuge e quindi ha chiaramente indicato che viene sanzionato solo il mancato pagamento dell’assegno per il mantenimento dei figli dei genitori coniugati“, si legge su La Stampa.
Marco Meliti, avvocato, intervistato da Il Messaggero sulla novità, ha detto che questa legge “ha il pregio di riordinare e fare chiarezza su una serie di interventi che avevano creato dubbi interpretativi“.
Chi non paga, comunque, non andrà subito in carcere ma “la legge serve da ammonimento“.
Tuttavia, c’è un punto non chiaro: “Si fa una distinzione tra i figli maggiorenni non indipendenti economicamente, nati all’interno di un matrimonio, e quelli nati da una coppia convivente, che invece non avrebbero l’obbligo a essere mantenuti“, ha spiegato Meliti.
Per quanto riguarda le ipotesi di reato “sarà punito, prima di tutto, con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 a 1032 euro chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge“.
La stessa pena rischia anche chi “malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge” e chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge“.
Infine, non viene intaccato il principio sancito dalla Cassazione secondo cui l’assegno di mantenimento per il coniuge non è più collegato al vecchio criterio del “mantenimento del tenore di vita“.