Una musica suggestiva in un video dai toni chiari in cui, tra voli di nuvole e uccelli, scorci di collina e mare, un uomo di spalle scruta l’orizzonte e 22 splendide e celebri voci della canzone d’autore pronunciano le parole di un capolavoro eterno della poesia italiana: è l’iniziativa che insieme Rai e Mibact hanno ideato per chiudere l’anno delle celebrazioni del bicentenario dell’Infinito di Giacomo Leopardi, scritto dal poeta recanatese nel 1819.
In onda su tutti i canali Rai e sulla piattaforma RaiPlay fino al 31 dicembre, questo viaggio sonoro e visivo – firmato da Rai Cultura che lo ospita sulla pagina raicultura.it/200infinito e da Direzione Creativa Rai – è un sorprendente mosaico di voci avvolto dal mistero, perché al pubblico non saranno rivelati i nomi degli artisti che hanno donato gratuitamente la propria voce leggendo un frammento della poesia.
Alcune voci sono molto riconoscibili, e sono big di primissima grandezza, da Mina a Celentano, da Claudio Baglioni a Gianna Nannini e Laura Pausini, ma resta comunque il riserbo per non rovinare la sorpresa ai telespettatori.
«Questo è un dono senza volto e senza nome, una straordinaria dichiarazione d’amore collettiva da parte di grandissimi artisti della musica nei confronti di una poesia che ci portiamo dentro per tutta la vita, quella più gelosamente custodita dagli anni della scuola. Del resto la canzone d’autore è erede della grande poesia, e noi nel 2017 con la legge 175 ne abbiamo riconosciuto il valore», ha detto il ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini, sottolineando che le celebrazioni dell’Infinito «continueranno con qualche iniziativa anche nel 2020».
L’infinito è una delle liriche più famose dei Canti di Giacomo Leopardi, che il poeta scrisse negli anni della sua prima giovinezza a Recanati, sua cittadina natale, nelle Marche. Le stesure definitive risalgono agli anni 1818-1819.
La lirica, composta da 15 endecasillabi sciolti, appartiene alla serie di scritti pubblicati nel 1826 con il titolo “Idilli”.
Oltre all’Infinito, in questa serie sono presenti anche altre note liriche, come Alla luna e La sera del dì di festa. Il termine greco “idillio” (εἰδύλλιον), di solito riferito a componimenti poetici incentrati sulla descrizione di scene agresti, subisce, con Leopardi, una ridefinizione: negli idilli leopardiani sono assenti le tematiche bucoliche proprie dei componimenti scritti dai poeti greci Teocrito, Mosco, Bione, e da poeti bucolici latini (Virgilio, Calpurnio Siculo e Nemesiano), poi imitati in età umanistica e rinascimentale da Jacopo Sannazaro e da Torquato Tasso.
L’idillio leopardiano è un componimento connotato da un forte intimismo lirico: in esso l’elemento del paesaggio naturale (spesso privo dei connotati del paesaggio ideale antico) è strettamente legato all’espressione degli stati d’animo dell’uomo. T
ale espressione del proprio io, non vuole essere una fuga nell’irrazionale o nel sogno (come accade nella lirica romantica), ma solo una nuova occasione di un’ampia riflessione sul tempo, sulla storia, e sul triste destino degli uomini. Gli idilli leopardiani, inoltre, presentano differenze stilistiche rispetto ad altre composizioni, in particolare colpisce l’abile e sapiente mescolanza di registri linguistici che spazia da quello letterario (Ermo colle) a quello semplice, piano e colloquiale (Sempre caro). Questo idillio si divide in due parti ben distinte: nella prima il poeta esprime concetti a lui usuali mentre, nella seconda, usa l’immaginazione e si perde nell’infinito.
Il manoscritto originale è conservato nela biblioteca nazionale di Napoli, insieme ad altre opere del poeta. Un secondo manoscritto, con molti altri autografi, è conservato nel Museo dei manoscritti del comune di Visso in provincia di Macerata. Nel mese di ottobre 2016, in seguito al terremoto che ha colpito la zona, questi manoscritti sono stati provvisoriamente trasferiti a Bologna.
IL TESTO
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
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