Le nostre nonne la sapevano lunga. Per loro non servivano ricerche scientifiche per scoprire che il latte materno supera il latte artificiale. Tanto che sino a 50 anni fa circa, nelle famiglie numerose e benestanti, esistevano le balie per garantire il continuo allattamento dal seno materno.
“Il latte materno rappresenta la migliore alimentazione possibile per il neonato”, è stata la frase con cui Mauro Stronati, direttore della struttura di neonatologia e patologia neonatale del policlinico San Matteo di Pavia, ha concluso il congresso della Società Italiana di Neonatologia, di cui è presidente.
I vantaggi di questa scelta sono molteplici: tanto per il neonato quanto per la mamma, che allattando anche oltre lo svezzamento, seppur non in maniera esclusiva, contribuisce in maniera attiva a ridurre il rischio di ammalarsi di tumore al seno, all’ovaio e di osteoporosi.
Quando il latte materno, nel primo periodo dopo il parto, non è subito disponibile, il latte umano donato può essere considerato alla stregua di un farmaco essenziale, soprattutto per i neonati più fragili: ovvero quelli con un peso alla nascita inferiore a 1,5 chilogrammi, ricoverati in terapia intensiva. Secondo l’Istat, in Italia la quota delle mamme che allatta al seno il proprio bambino è da tempo stabile attorno all’81 per cento.
La percentuale più bassa di donne che allattano (74,2 per cento) si è registra invece nelle isole, soprattutto in Sicilia, dove è bassa anche la quota di mamme che allatta per più di sei mesi (26,6 per cento).