Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, all’indomani della conferma della sentenza da parte della Corte d’Appello di Brescia, ha scritto una lettera che ha affidato al difensore Claudio Salvagni.
Ecco il testo:
“Dopo aver gridato con coraggio, con tutte le mie forze a testa alta, di fronte ad una Suprema Corte, nella speranza che stavolta potessi realmente, finalmente essere creduto nella mia verità di sempre, aspettando con ansia, in trepida attesa, il verdetto di giudizio, camminando, non più di cinque passi davanti e cinque passi indietro, per ben quindici interminabili ore, in una cella nei sotterranei del tribunale, nuovamente mi viene riconfermata la condanna di primo grado, in ergastolo. Che dirvi, dopo tutto quello che ingiustamente continuo dover subire, neppur più ora tengo la forza di scrivere. Sto perdendo il piacere, che più di tutto desidero, nel stare accanto a mia moglie, ma soprattutto ai miei amori figli, cuccioli di vita nel vederli crescere. Sono profondamente deluso, sconfortato, distrutto dal dolore, stanco nel farmi capire e non essere per niente capito né ascoltato. Soffro, vedere attraverso gli occhi di mia moglie, i miei figli, mia mamma, mia sorella, troppa sofferenza ingiusta. Sono stanco di soffrire e far soffrire, nel capire di essere ormai un peso per tutti quanti. Mi chiedo ora che valori abbia ancor la mia vita, se non mi viene concessa nessun possibilità nel difendermi. Vorrei poter credere ancora nella ‘giustizia’, ma dopo tutto quello che sto vivendo, nella maniera più disumana possibile, ho grandi seri dubbi nel ripensarlo … Non demordo e per niente desisto, primo perché orami la mia innocenza è diventata una ragione di vita e secondo, vivo per l’amore della mia famiglia. Pertanto, non smetterò MAI nel gridare in oltranza la più assoluta sincera verità di sempre: LA MIA INNOCENZA!!!“.
Su Il Giorno, edizione di Bergamo, si leggono anche le parole del legale di Bossetti:
“Lo seguo – ha affermato l’avvocato – dai primi giorni dopo l’arresto. Non l’ho mai visto così disperato. Per la condanna, certo, ma soprattutto per la percezione di non avere potuto difendersi. È un uomo devastato, finito, un morto vivente, che s’interroga disperatamente sul perché la sua supplica di una perizia sul Dna non è stata accolta. Si chiede come potrà spiegare ai figli che il padre è stato condannato per la seconda volta. E ogni volta si abbandona a un pianto disperato. Io stesso esco con il cuore spezzato. Spero che le persone che hanno decretato la condanna possano capire e soffrirne per tutta la vita. È una cosa indegna di quella che dovrebbe essere la patria del diritto“.
“La nostra battaglia – ha continuato Salvagni – andrà avanti. Con il collega Camporini prepareremo il ricorso in Cassazione. Non solo. Porteremo il caso Bossetti nel mondo. Il mondo deve indignarsi. Stiamo pensando a un convegno di respiro internazionale, con genetisti del livello di Gill, di Butler. Questo non è solo un processo: è una battaglia di giustizia“.