Ora, in Sudan, le mutilazioni genitali femminili sono reato: si apre un nuovo capitolo di diritti per le donne nella nazione africana. Il Governo ha, infatti, approvato un emendamento al codice penale: chi continua a praticare certe pratiche rischia il carcere, sia che avvenga all’interno di uno studio medico che altrove.
Le associazioni che si occupano della difesa dei diritti delle donne si dicono soddisfatte, ma ancora preoccupate. La nuova legge dovrà fare i conti con la realtà. Per molti, infatti, si tratta di consuetudini necessarie perché si possa trovare marito.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, circa 200 milioni di ragazze e donne in tutto il mondo hanno subito delle mutilazioni genitali. Sono ancora diffuse in almeno 27 Paesi africani, in parti dell’Asia e del Medio Oriente. Quasi nove donne e bambine su dieci nel Sudan, prevalentemente musulmano, sono state sottoposte a barbarie del genere.
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La procedura generalmente implica la rimozione, completa o in parte, dei genitali; e può causare una serie di complicazioni anche molto gravi. Si rischia la morte per dissanguamento, a causa di infezioni e al momento del parto.
In Sudan più di tre quarti delle procedure sono condotte da infermiere, ostetriche o altro personale sanitario. Spesso, la maggior parte dell’apertura vaginale viene ricucita dopo la rimozione dei genitali esterni: la cosiddetta reinfibulazione, che può provocare cisti, lesioni all’uretra, dolore nei rapporti sessuali e incapacità di raggiungere l’orgasmo.
Nel paese dell’Africa, le mutilazioni genitali e le questioni femminili in genere sono venute alla luce, con l’intento di tutela, solo nell’ultimo anno. Dopo le proteste, che hanno visto le donne in primo piano, che hanno portato alla caduta del dittatore Omar Hassan al-Bashir, nell’aprile del 2019.
Il primo ministro Abdulla Hamdok ha nominato donne ai dicasteri di affari esteri, gioventù e sport, istruzione superiore, lavoro e sviluppo sociale. L’esecutivo di transizione del Sudan inserirà le nuove norme in un nuovo articolo del codice penale, che richiamerà il Capitolo 14 della Dichiarazione costituzionale sui diritti e le libertà, approvata nell’agosto dello scorso anno.
È stata anche abrogata la precedente legge sull’ordine pubblico, che limitava considerevolmente la libertà delle donne: nello studio, sul lavoro, nell’abbigliamento, nel movimento e nell’associazionismo.
Le donne, infatti, non potevano indossare i pantaloni o lasciare i capelli scoperti in pubblico, incontrare uomini che non fossero mariti o parenti stretti. Ad oggi lo stupro da parte del coniuge e il matrimonio in tenera età non sono considerati reati.
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